Il referendum sui licenziamenti non raggiunge il quorum

Una vittoria amara

La norma sul reintegro non si tocca.

Abbiamo sostenuto che era molto meglio batterli sul contenuto del quesito, votando NO per dare un segnale chiaro di parte operaia ai padroni e alla Confindustria che li rappresenta. Segnalare con un NO deciso la presenza, nelle fila operaie, di una resistenza accanita alla loro necessità di avere mano libera sull’uso e il consumo della forza lavoro. Era anche un segnale ai gruppi dirigenti sindacali, una forte presenza dei NO li avrebbe messi di fronte al rifiuto degli operai di seguirli sulla loro scelta di andare ad una nuova contrattazione della flessibilità. Raggiungere il quorum e vincere con una maggioranza dei NO, possibile se si guarda al risultato del 33,4% dei SI e il 66,6 % dei NO, avrebbe rafforzato le lotte degli operai contro i licenziamenti. La scoperta di avere con il loro voto battuto, anche se su un terreno minato del voto, i padroni li avrebbe resi più forti nella lotta di fabbrica. Invece non si è raggiunto il quorum e questo risultato si è ottenuto con l’apporto importante di Berlusconi e di Bossi e di Bertinotti e Dantoni capo del sindacato cislino. Il loro obiettivo era quello di salvare il sistema proporzionale, e cioè la loro sopravvivenza come partiti e il loro modo di fare e disfare alleanze. Hanno colpito nel segno. Le diverse tendenze non riescono ancora ad unificarsi in due schieramenti ben definiti, devono imporsi sulla scena politica ognuno col proprio interesse particolare per poi stringere alleanze o organizzare scissioni al momento opportuno e sulla base degli interessi delle classi borghesi grandi e piccole di cui fanno gli interessi. Facendo mancare il quorum al quesito che interessava loro direttamente lo hanno fatto mancare, per effetto del trascinamento, anche a quello che direttamente coinvolgeva gli operai. Raccogliere una vittoria su queste basi è amaro. Berlusconi ha già dichiarato, per rassicurare la Confindustria, che sul problema dei licenziamenti metterà mano il parlamento e in quell’occasione non si tirerà certo indietro. La sinistra borghese di governo, sconfitta sul quorum, cercherà un accordo sulla legge elettorale; mentre sui licenziamenti giustificherà i suoi interventi legislativi a favore dei padroni sostenendo che in fondo è un problema sentito solo da una minoranza di elettori. In realtà è uscito sconfitto un metodo, quello referendario, ma solo quando non è santificato dai partiti più significativi dei due schieramenti. Altrimenti spingono al voto e il quorum non è più un problema. Le forze che si dicono antagoniste hanno raccolto la vittoria del "boicottaggio" al referendum sfruttando i contrasti che ha sollevato fra i partiti il quesito sul proporzionale ma così hanno reso possibile l’intervento parlamentare e legislativo anche sulla questione dei licenziamenti. Se andava boicottato l’istituto referendario perché non va boicottato anche il parlamento che non è che uno strumento dei padroni per gestire i loro affari e sottomettere gli operai?. Una maggioranza dei NO sui licenziamenti col quorum avrebbe forse legittimato il referendum ma avrebbe anche, senza ombra di dubbio, detto ai padroni: la vostra necessità di avere più mano libera sui licenziamenti trova una resistenza accanita in tutto il lavoro salariato.

Una vittoria ipotecata dai giochi politici fra i partiti è una vittoria monca. Diranno che la gente non è andata a votare perché è stufa di andare alle urne, altro poter dire che la maggioranza ha detto NO alla cancellazione dell’articolo 18. Ma per gli operai dispersi fra i partiti dei borghesi era quasi impossibile avere una posizione comune ed indipendente, per questo altri hanno vinto per noi. Se non acceleriamo i tempi per una nostra organizzazione politica separata da tutti i partiti dei borghesi prima o poi Berlusconi, Bossi, Bertinotti ci chiederanno il conto di averci salvato facendo mancare il quorum. E il conto sarà accettare ancora misure antioperaie e stare zitti. Al governo D’Alema abbiamo già dato. Amato continua a chiedere. La benzina aumenta di prezzo tutti i giorni.

Sesto S. Giovanni, 22/05/2000


21 maggio Referendum sui Licenzamenti

Votare no o astenersi ?

Nemmeno su un quesito semplice come quello che ci impone il referendum sui licenziamenti quella che si definisce sinistra riesce a trovare una risposta unica. Rifondazione sostiene che bisogna astenersi, Cossutta che bisogna votare, i sindacati sono per il No mentre l’area del cosiddetto antagonismo è per il boicottaggio e cioè in termini meno cattivi per l’astensione..

La sinistra di governo dice di essere per il No dopo aver fatto carte false per rendere più libero, intenso e concordato lo sfruttamento. Contratti atipici, lavoro in affitto , licenziamenti di massa con la mobilità.

Bertinotti e Cossutta sono, a periodi alterni, pilastri del governo del centrosinistra. I sindacati sono di fatto l’ufficio di gestione consensuale delle necessità dei padroni, sono per il NO solo perché vogliono essere loro a gestire il rapporto di lavoro. Quanti licenziamenti individuali hanno fatto passare senza muovere un dito, lo sappiamo solo noi che li vediamo al lavoro dentro le fabbriche.

Poi ci sono i sindacati cosiddetti alternativi incapaci di una benché minima alternativa al gruppo dirigente sindacale ed alla sua organizzazione di controllo. Attraverso Rifondazione sono collegati alla sinistra di governo facendo un’opposizione di chiacchiere Definiamo sinistra questo schieramento perché sono loro a definirsi tali e tutti a dirsi rappresentanti dei lavoratori. Fanno ridere. Pur facendo tutti parte di quel calderone che va dalla grande industria alla piccola borghesia di centro sinistra hanno trovato naturale differenziarsi sul referendum. Di fronte al padrone che ha imposto di votare su un semplice quesito: togliere o no l’obbligo a reintegrare al suo posto un dipendente licenziato ingiustamente si sono divisi in due fazioni. Fra chi si astiene nel tentativo di far mancare il quorum confidando in un aiuto trasversale di qualche traditore del maggioritario e chi invece vota NO perché ha l’obiettivo di raggiungere il quorum sul referendum sul maggioritario e vincerlo con una valanga di Si. Si sono divisi pur dichiarandosi formalmente d’accordo sul respingere la libertà di licenziamento.

La questione reale è ancora l’utilizzo degli operai e degli strati più sfruttati della società per i loro giochi di gestione politica del potere sulla società, per la sopravvivenza dei loro partiti . Per poter entrare nella gestione del potere, che è potere dei padroni. Le fazioni che si dicono di sinistra, stanno giocando sulla pelle degli operai il loro contrasti sul sistema elettorale. Vogliono che gli operai si divedano rischiando di perdere il referendum sui licenziamenti. Questo è il problema degli operai che non hanno una organizzazione indipendente dai borghesi di destra e di sinistra. Quelli che dicono di rappresentarli hanno fallito miseramente anche di fronte ad un semplice SI o NO all’espulsione definitiva dalle fabbriche degli operai indesiderati. Il fatto ancora più grave è che quelli che dicono di essere più a sinistra fanno la scelta più favorevole ai padroni, sostengono che i lavoratori non devono votare per far mancare i quorum. Noi partiamo dalla semplice concezione che i padroni, i loro amici e parenti , per essere più scientifici , i borghesi che impiegano lavoro salariato, e gli strati più alti fra i lavoratori che gestiscono questo sfruttamento andranno a votare e voteranno SI. Sanno distinguere fra questo referendum e gli altri e sapranno scegliere. Nel fronte del NO una parte va a votare un’altra parte No. Se una parte di quelli che voterebbero NO non vanno a votare fanno un regalo ai padroni che punterebbero a vincere con una maggioranza schiacciante di SI.

"Ma se tutto lo schieramento del NO non votasse si annullerebe il referendum per mancanza del quorum e sarebbe meglio" dice Bertinotti e i sindacalisti alternativi. Ma nessuno controlla complessivamente lo schieramento che si oppone ai licenziamenti che va alla scadenza referendaria con diverse opzioni. La differenziazione sul votare NO o astenersi era veramente così essenziale fra furboni che hanno varato assieme finanziarie antioperaie, mandato truppe di occupazione in Albania. Raccolto voti per gli stessi ex democristiani. Solo un gioco da piccoli caporali della politica italiana poteva spingere questi signori ad inventarsi l’astensione sul referendum sui licenziamenti, se non avessimo scoperto che il loro problema come quelli di tutti non è la difesa degli operai ma la fine della quota proporzionale potremmo solo dire che sono imbecilli.

Gli astensionisti della sinistra sperano in un aiuto da coloro che invitano a far mancare il quorum sul maggioritario, da Bianco dei popolari e allo stesso Berlusconi che però li ha fregati: non ha sostenuto l’astensione ma la liberta di scelta secondo coscienza. In fondo sul referendum sui licenziamenti decida la coscienza di ognuno, decida cioè la sua condizione sociale. I padroni, manager, gli impiegati di alto grado sono liberi di decidere, e decideranno.

Scrollarsi di dosso tutta questa sovrastruttura politico parlamentare è il problema degli operai se vogliono iniziare a fare in proprio. Ebbene il referendum sui licenziamenti si produce in un’ambiente sociale preparato da anni di discesa della condizione operaia gestita ed imposta dal un accordo di ferro fra grande industria e sindacato confederale. Una discesa della condizione operaia gestita ed imposta alternativamente da un governo a guida centrodestra o centrosinistra. In una situazione del genere la Signora Bonino ha potuto prendere i soldi dalla Confindustria per tentare di aprire un’altra strada sui licenziamenti. Una modernizzazione del rapporto di lavoro da primi del novecento. Ma il capitale non ha altro sistema di modernizzarsi se non quello di adeguare il livello della schiavitù operaia alla necessità data di accumulare profitti. In certe fasi deve spingerla oltre ogni limite ed ogni volta ricomincia di nuovo con nuovi sistemi nuovi metodi, nuovi ambienti sociali, antiche e strutturali necessità di sfruttamento.

In questa situazione, e cioè di fronte alla riapertura attorno ad un quesito referendario, del contrasto "pulito" fra operai e padroni, un contrasto strutturale, gli operai dovevano impantanarsi in una tattica politica da cretinismo parlamentare sul quorum? Invece di fare una battaglia sulla brutalità insita nel quesito che è molto più significativa della discussione sulla sua più o meno legittimità avremmo dovuto ridurre il tutto sul votare o non votare? Una classe sfruttata che si nasconde dietro la speranza che le classi superiori vengano in suo aiuto per difendersi da un qualunque attacco del padrone non va da nessuna parte. Meglio affrontare la lotta in proprio. Per questo abbiamo invitato gli operai ad ingaggiare direttamente la lotta sul referendum sui licenziamenti, organizzare in ogni fabbrica proteste e discussioni fra tutti gli operai affinché il 21 maggio si voti e si faccia votare un NO senza tentennamenti.

Che la sinistra al governo sostenga il NO non ci confonde sulla sua collocazione sociale, sono borghesi che vogliono licenziare col consenso. Anche Cofferati non ce la racconta più. Hanno aperto più strade ai licenziamenti loro con i loro accordi di chiunque altro. Chi ha scoperto le carte sono gli antagonisti chiacchieroni che si sono ancora fatti usare nello scontro fra maggioritari e proporzionalisti passando in secondo piano la diretta lotta degli operai per respingere con un NO secco un quesito semplice e brutale: la cancellazione di una norma ,comunque limitata, che permette all’operaio licenziato di tornare al suo posto di lavoro dopo che un bel giudice borghese ha stabilito che il suo licenziamento è illegittimo.

Sesto S. Giovanni, 10/05/2000


volantino del 10 maggio 2000

 


Un solo voto. Un NO Volantino del 9/5/00

 

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