proposta

 

Associazione
per la
Liberazione
degli Operai

Si è svolta a Milano il 9-10 febbraio una Conferenza sul tema "Hanno bisogno gli operai di un'organizzazione indipendente?".
Ai lavori hanno partecipato operai e militanti di fabbriche e realtà significative.

Dalla discussione sono scaturiti i seguenti punti che riassumono la situazione degli operai oggi.

1) La condizione operaia è peggiorata nel lungo processo di ristrutturazione e la crisi economica che inizia a far sentire i suoi effetti tende ad aggravare ulteriormente la situazione.

2) Dalle fabbriche, nonostante il muro di omertà imposto dalla società, scaturiscono testimonianze sulla reale condizione di sfruttamento a cui si è sottoposti. Gli operai non sono scomparsi e il regime di fabbrica si è fatto sempre più dispotico.

3) Sono falliti i progetti di un lento ma irreversibile miglioramento della condizione sociale degli operai.

Il movimento economico della società moderna fa ripiombare nella miseria milioni di uomini quando non li fa massacrare in qualche guerra per i profitti.

Sono questi i momenti in cui diventa chiaro che le organizzazioni politiche e sindacali che non mettono in discussione i meccanismi interni del sistema economico non possono rappresentare in alcun modo gli operai come gruppo sociale omogeneo.

4) Una classe o uno strato sociale deve tentare la strada di nuove forme di organizzazione e rappresentatività nel momento in cui si rende conto che i suoi interessi, schiacciati dalla crisi, non vengono difesi da nessuno. Oggi si dimostra che i Partiti e i sindacati che dicevano di rappresentare gli operai ne scaricano le aspirazioni e i bisogni economici più elementari: la conseguenza sarà una spinta ad organizzarsi per sostenere i propri interessi.

5) La mancanza di un'organizzazione indipendente degli operai ha pesato negativamente su tutta la vicenda della guerra del Golfo.

Il pacifismo degli appelli umanitari è servito ben poco a fronte di un'offensiva del governo e dei suoi strumenti di propaganda che giustificavano e legittimavano il massacro.

E' mancata una critica alla guerra come guerra dei padroni per il profitto e un movimento degli operai che sostenesse con forza questa critica.

6) Per tutte queste ragioni gli operai e i militanti riuniti a Milano hanno deciso la costituzione di un comitato promotore per costruire un'associazione che ha al centro del suo programma " la

liberazione degli operai dalla schiavitù del lavoro salariato".

E' una proposta, un progetto di massima. Il documento approvato nell'assemblea di Milano ne fissa alcune caratteristiche.

Va verificato, è necessario che se ne discuta nelle fabbriche, fra i militanti che ritengono centrale il ruolo degli operai nella conflittualità sociale.

Ogni critica, contributo sarà molto utile a precisare meglio il progetto e renderlo veramente realizzabile.

Il Comitato promotore

Milano - INNSE, Nuova Breda Fucine, Magneti Marelli,

Breda Energia, Borletti, Riva Calzoni, Siemens TLC, Tipocromo;

Falck Unione;

Bergamo - Tubi Arcore, Magnani, Imec;

Novara - Filati Novara;

Modena - FIAT Geotech, Elettromeccanica Tironi;

Udine - Maddalena, Bertoli;

Bologna - Weber.

 

Questo documento è il risultato di un lavoro collettivo a cui hanno preso parte operai di grandi fabbriche ed intellettuali militanti.

La necessità di elaborare una proposta associativa è maturata in una serie di riunioni e discussioni con operai di diverse città, in questi ultimi mesi.

Il documento è articolato in sei parti e cerca di tracciare alcuni giudizi sulla condizione degli operai oggi. La loro collocazione nella società e nella produzione, le trasformazioni intervenute nella crisi e nell'inasprirsi della concorrenza internazionale.

In tale contesto è posto il problema della libertà e della costituzione di una associazione operaia.

Una proposta che va discussa e valutata con tutti coloro che hanno svolto in questi anni un lavoro politico nelle fabbriche in aperta rottura con le tendenze sindacali, politiche e culturali che hanno giustificato il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita degli operai in nome del profitto e delle "sacre leggi di mercato". Prevediamo una serie di riunioni nei centri industriali più importanti ed un'assemblea generale (orientativamente nel mese di settembre) nella quale fare il punto della situazione e valutare la possibilità di passare alla costituzione dell'associazione.

 

 

 

Gli operai

Per una specie di tacito accordo tra i teorici di tutte le tendenze politiche di destra e di sinistra, gli operai da anni sono dati per estinti. Non esistono come classe, ma solo come individui: cittadini tra cittadini.

Liberati dal lavoro manuale, grazie ai robot, garantiti a livello economico dal crescente benessere, rappresentati nella società da una sempre più solida democrazia politica, come individui sono solo consumatori di mode e di merci seppur di second'ordine, certo non la classe dei produttori diretti.

Nessuno sembra sospettare che un immenso esercito di uomini, una parte consistente dell'umanità, venga quotidianamente sospinta dalla fame verso le moderne galere della produzione materiale: nelle fabbriche, nelle miniere e nei mille rigagnoli del lavoro nero.

Nessuno si cura del fatto che milioni di uomini costretti in questa condizione diventino "cittadini particolari", incorporati in un macchinario che impone i suoi ritmi, con una schiera di capi che controllano l'ottimale erogazione di lavoro, in un ambiente malsano in cui è più facile che altrove ammalarsi, infortunarsi o morire.

Ma questa condizione che gli operai per anni riescono a spiegarsi come una sfavorevole circostanza del destino, in determinate fasi diventa insopportabile e si evidenzia come conseguenza di precisi rapporti economici e sociali.

La crisi e la ristrutturazione che ne è il prodotto, mettono ancora più in luce la brutalità del regime di fabbrica e la generale insicurezza sociale degli operai.

il salario si dimostra sempre meno in grado di garantire una decente sopravvivenza.

Persino farsi sfruttare in fabbrica tutti i giorni diventa un privilegio di fronte ai licenziamenti, la disoccupazione, il ricatto della miseria.

Si tratta, dunque, di liberi cittadini o di schiavi del lavoro salariato?

Liberi sul piano giuridico, ma moderni schiavi nella produzione, senza neppure gli strumenti per difendersi, senza voce nella società della comunicazione globale.

 

La ricchezza

Questa congiura del silenzio ha uno scopo ben preciso: la vita degli operai deve essere consumata produttivamente per far arricchire i padroni e le classi superiori.

Una schiavitù tanto più brutale in quanto ha per scopo dichiarato il profitto, diventato principio morale necessario ed assoluto.

Per i padroni ed i loro ideologi il modo di produzione di una società non può che fondarsi sul capitale ed il lavoro salariato con la conseguente distribuzione della ricchezza: profitto capitalistico e miseria operaia.

Hanno interesse a presentare questo modo di produzione come l'unico possibile. Ma le crisi dimostrano che il sistema del capitale non è eterno, ma trova dei limiti al suo sviluppo nel suo stesso funzionamento.

I ripetuti crolli di Wall Street, la recessione in occidente ed il precipitare della crisi economica ad Est, sono un segnale evidente dei problemi che sta incontrando il capitalismo mondiale nel processo di accumulazione.

Molti guardano all'evoluzione economica e politica ad Est senza capire che lì si manifesta la stessa crisi che sta mettendo in discussione il modo di produzione fondato sullo sfruttamento operaio per il profitto.

Ciò a prescindere dalla forma sociale che ha assunto negli USA o nell'URSS il sistema capitalistico.

Un modo di produzione che è solo la forma storica, transitoria che oggi domina il mercato mondiale, ma che è destinata ad essere superata

 

La concorrenza

Mentre cresce l'illusione pacifista, la crisi produce un'accanita concorrenza fra i singoli capitali, sospinge le varie economie nazionali una contro l'altra, gli operai vengono coinvolti in tutti modi a sostegno dei propri padroni.

Il risultato è una corsa competitiva che produce un più intenso sfruttamento. Si rinforzano, nel frattempo, tendenze protezionistiche ed il nazionalismo economico incide ogni giorno di più in profondità: "Lavorate di più e con salari inferiori a quelli della concorrenza".

Lo stesso slogan gridato dai padroni italiani, tedeschi, americano, francesi, russi... ha un tragico risvolto.

L'aumento di competitività in un paese significa peggioramento della condizione degli operai di tutti i paesi, in una spirale senza fine.

E sono gli stessi sindacati nei diversi paesi che spingono gli operai a sottostare agli interessi e all'ideologia nazionalistici: per salvare il posto di lavoro bisogna battere i concorrenti, conquistare nuove fette di mercato, anche se ciò produrrà disoccupazione e miseria per gli operai degli altri paesi.

Ma cosa hanno da guadagnare gli operai in questa guerra fra poveri?

I loro interessi sono, al contrario, la lotta e la solidarietà internazionale.

La lotta degli operai, nei diversi punti del mercato mondiale, per difendersi e resistere nella crisi assume un valore che oltrepassa il ristretto ambito locale.

Tali lotte hanno un contenuto internazionale e vanno pienamente sostenute e propagandate. Alla concorrenza nazionalistica va opposta la solidarietà degli operai di tutti i paesi.

 

La libertà

Mentre nelle fabbriche la condizione operaia peggiora, mentre si inasprisce la repressione e i salari reali scendono, mentre il capitale si evidenzia come despota assoluto, tutti si rivolgono ad Est per dimostrare che in Occidente viviamo nel miglior ordinamento sociale possibile.

Il ragionamento si fonda su una mistificazione storica: nei fallimenti dei regimi dell'Est si vuole vedere il fallimento delle società organizzate in nome degli operai e del comunismo.

Devono estirpare dalla coscienza degli operai la possibilità di concepire e lottare per una società in cui venga abolito lo sfruttamento.

La realtà è ben diversa. Crollano all'Est forme sociali e politiche che, pur nascendo da tentativi degli operai di emanciparsi dal capitale, sono state trasformate nel loro contrario. Si tratta di un sistema di sfruttamento e di accumulazione capitalistica che niente ha da spartire col potere della classe operaia e tanto meno con la sua emancipazione.

I cambiamenti in atto all'Est sono generati dalla crisi di un processo di accumulazione capitalistico e dalla risposta che ne danno le varie classi. Piccola e media borghesia, tecnici, manager dell'industria di Stato attribuiscono lo sfacelo dell'economia al particolare regime politico dei paesi dell'Est e sostengono che solo il libero mercato, l'iniziativa privata migliorerà le loro condizione di vita. Chiedono maggiore produttività e una maggiore possibilità di accumulazione e di circolazioni di capitali. Chiedono agli operai di sostenere queste rivendicazioni, prospettando loro la possibilità di un miglioramento economico e maggiore libertà.

Parlano di liberalizzazione del mercato quando in Occidente si impone il protezionismo e dicono queste cose proprio quando ad Ovest la corsa dei padroni all'arricchimento sta producendo ovunque nuove e profonde crisi sociali. Aumenta il numero di disoccupati, nelle fabbriche lo sfruttamento ha raggiunto livelli impressionanti (gli incidenti sul lavoro sono una spia significativa), mentre cresce la penuria di abitazioni, la massa dei poveri, l'acutizzarsi dei contrasti razziali e l'emigrazione.

Il rapporto militante fra gli operai dell'Est e dell'Ovest servirà a chiarire come stanno effettivamente le cose.

Liberalizzato il marcato, aperte le porte all'iniziativa privata, gli operai dell'Est si troveranno ancora a fare i conti con una condizione materiale di maggior sfruttamento e di peggioramento delle garanzie sociali.

La libertà di cui oggi tanto si parla è la libertà dei padroni di poterli sfruttare più intensamente. Per gli operai dell'Est non è nient'altro che la libertà di poter vendere la propria forza lavoro per produrre profitto per il padrone, in cambio di un salario di sopravvivenza, quando le cose vanno bene.

La libertà capitalistica presuppone la schiavitù dell'operaio,

la libertà degli operai inizia là dove viene abolito il lavoro salariato. E' questo l'obbiettivo che si pone anche per gli operai dell'Est.

 

L'Associazione

La crisi evidenzia la schiavitù degli operai e produce nello stesso tempo la necessità di liberarsi.

Un primo passo è riconoscere che nel ventesimo secolo una classe ha ancora bisogno di un proprio movimento di liberazione.

Per dare un contributo a questo processo proponiamo di dare vita a una: Associazione per la Liberazione degli Operai.

L'Associazione si colloca fin dall'inizio in una prospettiva internazionale, i rapporti con gli operai di altri paesi, lo scambio di esperienze, le iniziative di solidarietà la dovranno caratterizzare fin dal suo sorgere.

Mai come in questo momento si sente la mancanza assoluta di un centro di collegamento, di una forma di organizzazione che rappresenti socialmente gli operai come classe indipendente.

Un vuoto tanto più grave in quanto la condizione degli operai peggiora sotto i colpi della crisi economica e non c'è sindacato né partito interessati a fronteggiarla.

La proposta dell'Associazione è solo un piccolo passo per colmare questo vuoto, per sollevare la questione operaia in tutto i suo significato storico e sociale.

L'Associazione sostiene ogni movimento e lotta in cui si manifesti, anche se in modo limitato, la necessità della completa liberazione degli operai dalla schiavitù del lavoro salariato.

 

Proposta di statuto

art. 1

Compito dell'Associazione è promuovere, favorire e sostenere ogni movimento che ha come obbiettivo la liberazione degli operai dalla schiavitù del lavoro salariato.

art. 2

Coscienti che questa schiavitù viene nascosta sotto una montagna di mistificazioni teoriche e politiche, compito dell'Associazione è usare tutti i mezzi a disposizione per evidenziare la realtà della condizione operaia in tutti i paesi del mondo.

art. 3

Riconoscendo che il nostro obbiettivo generale non è possibile senza la solidarietà degli operai di tutti i paesi, compito dell'Associazione è quello di combattere ogni tentativo di mettere operai contro operai per sostenere i propri padroni nella guerra di concorrenza che la crisi aggrava ogni momento.

art. 4

Avendo coscienza che oggi gli operai vivono una condizione di completo abbandono, l'Associazione si impegna, nei limiti delle sue forze, a costituire i più elementari mezzi di difesa (legale, fondo di solidarietà, ecc.).

art. 5

Può aderire all'Associazione chiunque si impegni a sostenere le finalità generali, partecipi alle sue iniziative pubbliche, paghi con regolarità le quote di partecipazione.

art. 6

Il nome dell'Associazione è "Associazione per la Liberazione degli Operai".

Sesto S. Giovanni, 9 febbraio 1991

Hanno partecipato:
Operai e militanti della
Breda Fucine, Breda Energia, Borletti, Falck Unione,
Magneti Marelli, Tubi Arcore, Riva Calzoni,
Siemens TLC - Milano.
Fiat Geotech, Elettromeccanica Tironi -Modena.
Bertoli - Udine.
Filati - Novara.
FF.SS. - Genova.
Roma
Napoli
Bergamo
Bari
Parma
Torino