Tutto è iniziato Lunedì 19.
Per il terzo giorno consecutivo, di fronte ad uno sciopero degli operai dell'indotto,
l'azienda decreta la messa in libertà di buona parte degli operai dello
stabilimento. E' una pratica che la Fiat sta utilizzando in molte fabbriche.
Non vuole sentir parlare di scioperi, neanche di un'ora sola. E così
ad ogni sciopero proclamato anche solo da un reparto o, come è successo
a Melfi, dagli operai dell'indotto, la Fiat risponde mandando a casa per l'intera
giornata gli operai. Il che significa che gli operai perdono il salario. E'
un atteggiamento arrogante ed odioso con il quale la Fiat cerca di mettere in
ginocchio gli operai e annientare il loro diritto di sciopero. La schiavitù
della fabbrica assume così dei contorni sempre più definiti. E
i famosi diritti, compreso quello dello sciopero, sono annientati.
Ma questa volta gli operai hanno ribaltato la frittata. Lunedì infatti
l'azienda ha parcheggiato interi reparti nella sala mensa in attesa di comunicare
loro la definitiva messa in libertà o la ripresa della giornata lavorativa.
L'arroganza della Fiat è giunta al punto di comunicare giorno per giorno,
ora per ora, se si lavora oppure no. Gli operai trattati come schiavi senza
alcuna considerazione. Per raggiungere Melfi gli operai sono costretti a compiere
veri e propri viaggi dalla durata anche di un'ora e mezza. E spesso arrivando
con i bus devono aspettare per il ritorno la fine del turno. Ma di tutto questo
la Fiat se ne frega.
La sala mensa di Lunedì invece di essere l'area di parcheggio di una
massa inerme che aspetta di conoscere la volontà del padrone si è
trasformata in una assemblea di operai rabbiosi e determinati a ribellarsi al
sopruso della Fiat. Anche la parte degli operai del montaggio "risparmiati"
quel giorno dalla "messa in libertà" si fermano, spontaneamente
in sciopero.
A nulla basta la decisione dell'azienda di riammettere gli schiavi al proprio
posto di lavoro. Il gioco è sfuggito alla Fiat e lo hanno preso in mano
gli operai. NON SI TORNA AL LAVORO. L'assemblea cerca di stilare un primo documento
di rivendicazioni. I delegati sindacali di Fim, Uilm e Fismic sono smarriti.
Non sanno più cosa fare. Gli operai sono determinati: oggi non lavoriamo
e a deciderlo siamo noi. Tra mille mediazioni gli operai costringono i delegati
presenti a firmare un documento in cui si chiede all'azienda l'equiparazione
salariale e normativa con gli altri operai Fiat, la fine della doppia battuta
(12 notti consecutive), migliori condizioni di lavoro e la fine della repressione
che alla Sata di Melfi significa 2500 contestazioni all'anno, licenziamenti
a raffica degli operai ribelli e pugno duro con chiunque mette in discussione
lo strapotere del padrone. L'atto di forza della direzione aziendale si trasforma
per il padrone in un incubo. Gli operai escono dalla sala mensa e chiamano gli
altri reparti che stanno ancora lavorando. A quel punto l'intera fabbrica è
in sciopero. Si decide di uscire dallo stabilimento. Alcuni propongono il blocco
totale degli ingressi. La proposta è accolta con un'ovazione. I precedenti
blocchi attuati insieme agli operai di Termini Imerese nel sostegno alla loro
lotta che provocò il blocco di tre giorni dello stabilimento di Melfi
è un utile bagaglio di esperienza. Memori di quei blocchi gli operai
sanno già come organizzarsi. Dispongono i picchetti in tutti i posti
di accesso alla fabbrica. Si recano al vicino stabilimento della Barilla e in
cambio del lasciapassare dei loro mezzi e del personale chiedono pedane e una
scorta di merendine. Il padrone Barilla non esita. La solidarietà tra
padroni mostra immediatamente la corda. In pochi minuti arrivano pedane e merendine
così come avevano chiesto gli operai. Inizia la rivolta.
Gli operai del secondo turno arrivano e trovano il blocco. Non esitano ad unirsi
alla protesta. E così accade per il terzo turno. Nel frattempo iniziano
le prime defezioni. La Fim, la Uilm e la Fismic si dissociano dal blocco. Affermano
che sono d'accordo nel merito delle proposte ma non nel metodo. La prima elementare
protesta degli operai fa subito una prima chiarezza sugli schieramenti in campo.
I nemici degli operai sono costretti a gettare la maschera e a dichiararsi apertamente
come tali. Si costituisce così una prima forma di coordinamento della
lotta. All'interno ci sono tutti i delegati Rsu che non hanno abbandonato la
protesta. In primo luogo i delegati di Fiom, slai cobas, Alternativa Sindacale
e Failms a cui si aggiunge l'Ugl. L'equilibrio tra le varie componenti è
abbastanza teso ma finora tenuto saldo dalla determinazione degli operai di
portare avanti la lotta.
Martedì 20: i picchetti non si
fermano. Gli operai tengono fede alla loro dichiarazione iniziale: blocco totale
dello stabilimento fino all'accettazione da parte della Fiat dei punti rivendicativi.
E' chiaro che un punto centrale è quello del salario. Ad es., il lavoro
notturno a Melfi subisce una maggiorazione del 45% a fronte del 60,5% degli
altri stabilimenti Fiat. I livelli medi sono inferiori a parità di mansioni
con gli altri colleghi della Fiat. L'azienda torinese si è inoltre rifiutata
di firmare il contratto integrativo.
I ritmi di lavoro sono incessanti. La Sata di Melfi è stata la prima
fabbrica Fiat ad introdurre il Tmc2, ad avere pause ridotte e ad imporre agli
operai di seguire un ciclo produttivo forsennato. Con 5.000 operai si producono
1.500 vetture al giorno. Non c'è spazio per nessuna ribellione. Chiunque
non segue la maratona produttiva viene punito. Fioccano lettere di contestazioni,
giornate di sospensione, licenziamenti per i più ribelli. E in più
c'è il problema della ribattuta. Dodici notti consecutive. Una mazzata
che gli operai da tempo denunciano. In realtà la Fiat ha mostrato qualche
segno su questo fronte. A Pratola Serra, la fabbrica gemella della Sata, l'Fma,
ha ottenuto il superamento della ribattuta, in cambio di un maggiore utilizzo
degli impianti. Il tutto è stato cioè reso possibile solo perché
rientrava nelle esigenze di riorganizzazione produttiva della Fiat. Ma anche
a Melfi è da tempo che si discute di un superamento delle 12 notti. Sul
salario invece la Fiat non ha mai mostrato alcun segnale di disponibilità
ed è su questo che gli operai si giocano la partita.
Mercoledì 21 arrivano le prime
provocazioni. La più pesante tra il primo e il secondo turno.
Si presentano due autobus di impiegati e capi. Scortati dalla polizia tentano
di forzare il blocco. Gli operai non ci stanno. Si dispongono lungo la strada
seduti per terra. Pongono la loro condizione: se i capi vogliono entrare devono
scendere e passare a piedi. I capi si rifiutano. Molti di loro sono stati precettati
dall'azienda. Alcuni dichiarano di aderire allo sciopero. Il tentativo di forzare
i blocchi fallisce. Gli autobus tornano a casa.
Nel pomeriggio la tensione torna alta. Col passare delle ore la polizia aumenta
visibilmente. Ad un certo punto in assetto anti-sommossa si dispongono per tentare
una carica. Si tenta di identificare gli operai che partecipano ai picchetti.
Nessun operaio ha con sé i documenti. Gli operai non cedono neanche a
questa provocazione. Si dispongono sui bordi della strada e stupiti assistono
ai preparativi di una eventuale carica. Tentano di spiegare che sono lì
per difendere il loro diritto ad un salario più elevato e per condizioni
di lavoro più umane.
L'aria si stempera e la polizia rinuncia ad avanzare. Almeno per ora.
Giovedì 22. La lotta continua
e la Fiat è costretta a fermare le produzioni a Mirafiori, Termini Imerese
e alla Sevel di Castel di Sangro. I componenti non arrivano e la produzione
non può andare avanti. In totale 7.500 operai in cassa integrazione.
La Fiat diffonde una nota in cui lamenta le grandi difficoltà in cui
versa l'intero apparato produttivo. La Fim, la Uilm e la Fismic cercano di darle
una mano. Organizzano una contromanifestazione nella città di Melfi.
Nonostante i grandi proclami l'iniziativa viene disertata da tutti gli operai.
Uno sparuto gruppo di capi con famiglie al seguito che non raggiungono le 200
persone. Il sindaco cittadino di Forza Italia solidarizza con i manifestanti.
Il vescovo benedice la manifestazione ma questo non serve a nasconde il colossale
fallimento.
Nel frattempo il coordinamento delle Rsu in lotta convoca una manifestazione
nazionale per Sabato 24 in appoggio alla lotta di Melfi. Fim, Uilm e Fismic
non sanno più cosa fare per aiutare il padrone Fiat. Hanno tentato una
manovra per ripetere l'esperienza della marcia dei 40.000 a Torino e stroncare
la protesta degli operai. Ma la marcia trionfante non si è ripetuta.
Qualcuno dai balconi li ha pure fischiati. Gli iscritti ai sindacati padronali
prendono le distanze e una parte di loro partecipano ai blocchi. Tra di loro
anche qualche delegato più avveduto. Qualcun altro straccia la tessera.
La protesta degli operai li ha spiazzati.
Nel pomeriggio una riunione del coordinamento delle Rsu in lotta. I delegati
più combattivi continuano a ribadire che la lotta è finalizzata
all'ottenimento dei tre punti che sono stati sin dall'inizio indicati dagli
operai: parificazione salariale e contrattuale con il resto degli operai Fiat,
superamento della ribattuta e un miglioramento delle condizioni di vita in fabbrica.
Nessuna mediazione al ribasso e nessun accordo che recepisca solo parzialmente
le richieste può bastare per rimuovere i blocchi. Gli operai che si succedono
in massa ai picchetti hanno ben presente questo obiettivo. E non sopporterebbero
nessun tradimento rispetto a questa piattaforma. La Fiom ne prende atto e va
avanti.
Ma i servi non mollano. Nella notte arriva una telefonata: è la confederazione
dei trasportatori che annuncia che stanno per arrivare i camion per caricare
le merci dopo che si è appreso che i soliti sindacati hanno firmato l'accordo
per gli operai dell'indotto. E' un'altra manovra per dividere e disorientare
gli operai. La notizia si rivela ben presto falsa. Ma gli operai avevano già
dato la loro risposta: tutto quello che fanno Fim, Uilm e Fismic è un
affare del padrone e dei loro lacché. Questi signori possono firmare
quello che vogliono: i blocchi restano.
Più passano le ore e più è evidente che si tratta di un
braccio di ferro tra gli operai e la Fiat. L'azienda ricorre continuamente a
dei colpi bassi. Utilizza sapientemente i sindacati padronali ma anche questa
mossa si rivela inefficace: li ha resi talmente asserviti che tutti li identificano
immediatamente come controparte. In questo braccio di ferro perde chi si arrende
prima. La Fiat lo sa bene. E lo sanno bene anche gli operai che ribattono colpo
su colpo.
Venerdì 23. Gli operai continuano
ad organizzarsi. Si allestisce una mensa. Servono viveri, legna e soldi per
continuare la protesta. Si tengono i contatti con le altre fabbriche per apprendere
notizie e organizzare la manifestazione del sabato.
Dopo i dati allarmanti diffusi dalla Fiat la stampa che ha ignorato del tutto
la protesta (tranne Il Manifesto che l'ha seguita con un certo rilievo) inizia
a parlarne. Gli operai mettono in ginocchio il più grande gruppo industriale
del paese e nessuno se ne accorge. Il padrone lancia il grido d'allarme e la
stampa inizia ad interessarsi al caso.
I grandi capi della sinistra disertano i cancelli. La protesta operaia di Melfi
è un affare che preoccupa tutti. Nessun partito politico si attiva per
sostenere la lotta. Solo qualche politico locale e qualche deputato cercano
di inviare qualche timida richiesta al governo affinché organizzi un
tavolo di trattativa. Ma a questo ci pensa la Fiat. I sindacati vengono convocati
a Roma. Fim, Uilm e Fismic mentre si apprende la notizia della convocazione
sono già seduti a discutere con i capi della Fiat. Più tardi si
apprenderà che la convocazione è rivolta alla Fiom. Più
passano i giorni e più "Cisl, Uil e Fismic" si identificano
con il padrone. La Fiom partecipa all'incontro. La Fiat pone subito una pregiudiziale:
per discutere con la Fiom bisogna sciogliere i blocchi. La Fiom rifiuta e viene
estromessa dal tavolo della trattativa. Dopo poche ore arriva la notizia: i
soliti noti hanno firmato l'accordo con la Fiat. E' un'intesa che si copre di
ridicolo. L'accordo è un calendario di incontri in ci si stabilisce che
il 4 Maggio i sindacati incontreranno la Fiat per discutere del caso Melfi.
All'ordine del giorno del futuro incontro la questione della ribattuta e del
salario. E' una farsa che copre di vergogna chi l'ha firmata e offende gli operai,
innanzitutto gli iscritti ai sindacati firmatari. Ma la notizia passa senza
che nessuno gli dia importanza.
Sabato 24. Arrivano 10.000 operai. Gli operai dell'intera
area industriale della Sata sono tutti lì. Nessuno assente. Dopo 6 giorni
di sciopero ancora più arrabbiati e decisi. Nel frattempo si apprende
che altri stabilimenti potrebbero fermarsi da Lunedì in poi. Termoli
innanzitutto che produce i motori e poi l'Alfa di Pomigliano che è presente
con una nutrita delegazione operaia alla manifestazione. Arrivano delegazioni
anche da Mirafiori, Arese, Termini Imerese, Alenia e altri stabilimenti dell'intero
territorio nazionale. Alla manifestazione non partecipano le altre classi. Solo
un piccolo gruppo di giovani ed uno sparuto manipolo di politicanti, incluso
qualche sindaco del circondario, con tanto di fascia tricolore. Il contrasto
con le recenti manifestazioni popolari contro il deposito di scorie radioattive
a Scanzano è evidente. Ancora una volta gli operai apprendono che devono
fare da soli. Il corteo attraversa il lungo violone che costeggia la fabbrica,
i cui cancelli sono presidiati in forza da ingenti forze dell'ordine.
Fim. Uilm e Fismic fanno recapitare un volantino in cui si legge che i blocchi
non servono alla causa degli operai ma c'è bisogno di dialogo. Gli operai
rispondono: solo i servi non servono.
Nel frattempo la notizia acquista una certa valenza. I tg iniziano ad occuparsene.
Il governo fa sapere tramite Maroni che non interverrà in alcun modo
nella trattativa: è un affare della Fiat e dei sindacati. Il sottosegretario
al lavoro Sacconi si sbilancia e dichiara che la Fiom deve essere spazzata via
per ricostruire un clima di relazioni sindacali moderne. Nel governo si fa strada
l'ipotesi di assestare un colpo agli operai. La Fiom decreta 4 ore di sciopero
nell'intero gruppo Fiat per martedì prossimo. Il segretario generale
della Cgil Epifani invita a riflettere: i blocchi potrebbero essere una strada
sbagliata. Ma gli operai dimostrano di conoscere bene la loro strada. E da quella
strada, quella che conduce alla fabbrica, non si passa.
Domenica 25. La giornata trascorre tranquilla,
anche se è forte il timore di un'azione di forza della polizia. In serata
centinaia di operai e capi vengono contattati telefonicamente dall'azienda che
li invita a riprendere il lavoro lunedì mattina, perché i blocchi
saranno tolti. La notizia fa immediatamente il giro fra gli operai. I picchetti
diventano subito più numerosi. Molti operai decidono di venire con i
pullman per convincere qualche eventuale crumiro a non tentare di passare. La
notte trascorre aspettando l'ennesimo braccio di forza.
Lunedì 26
Il blocco del lunedì inizia con una visita. Alle 6,00 del mattino
si presentano due autobus con a bordo 30 capi e capetti della Fiat. La polizia
è intenzionata a farli entrare. Anche i manifestanti, che pongono una
condizione: i capi possono scendere e recarsi a piedi allo stabilimento. La
proposta non viene accettata. I capi si rifiutano di scendere. Gli operai si
dispongono seduti davanti ai blocchi: Resistenza passiva. La polizia si dispone
in assetto antisommossa e inizia a sollevare gli operai per allontanarli dal
blocco. Sono presenti anche i dirigenti sindacali della Fiom tra cui Gianni
Rinaldini, segretario nazionale della Fiom.
Gli operai ora sono in piedi ai bordi della strada. Si ridispongono davanti
ai blocchi con le mani alzate. La polizia cerca di fare pressione. La tensione
è molto alta. Partono le prime cariche. Si cerca di disperdere i manifestanti.
Le manganellate aumentano. Le cariche si ripetono. Gli operai cercano di ricomporsi.
Questo si ripete per 4 ore. Alle 10,00 passano gli autobus. Il bilancio di questa
prima mattinata registra undici operai feriti. Il segretario Gianni Rinaldini
dichiara alla stampa : "La polizia ha fatto un atto di servilismo nei confronti
della Fiat ed è stata filo-diretta dall' azienda. Così qui è
successo un fatto vergognoso, picchiando lavoratori che protestavano pacificamente
le loro ragioni".
In queste prime ore la Fiom a caldo revoca lo sciopero di 4 ore proclamato per
il giorno successivo nel Gruppo Fiat e indice uno sciopero generale del settore
metalmeccanico per Mercoledì. In Basilicata sciopero generale di 8 ore
sempre per Mercoledì.
Nel frattempo gli operai dell'intero gruppo Fiat si trovano i cancelli chiusi.
Anche in altri stabilimenti dove la produzione non risente della mancanza di
componenti, come all'Fma di Pratola Serra, la produzione è ferma. La
Fiat teme reazioni e manda gli operai a casa. Ma la notizia degli scontri a
Melfi si diffonde in poche ore. Dall'Alfa di Pomigliano delegazioni di operai
si organizzano e si recano a Melfi per sostenere la lotta. Lo Slai di Pomigliano
arriva con furgoni, altoparlanti e una folta delegazione. Anche un gruppo di
operai e delegati della Fiom dell'Alfa di Pomigliano si presenta ai blocchi.
Così succede per altri stabilimenti vicini. Anche gli operai di Melfi
non presenti ai blocchi si precipitano davanti ai cancelli. In poche ore cresce
visibilmente la massa degli operai ai presidi. La tensione non si allenta. Nel
varco della Fenice, dove esiste un altro importante presidio, continuano le
cariche.
Alle 16,30 si presenta un delegato sindacale della Uilm. Gli operai sono sbigottiti.
L'"eroico" delegato viene assalito ma gli operai si guardano bene
dall'avvicinarsi anche solo fisicamente. Forse per schifo o forse perché
temono che si tratti di una provocazione e non vogliono cadere nella trappola.
Dopo pochi minuti, tra fischi e pernacchi, il delegato esce di scena, al grido
di "venduto, venduto".
Alle 17,40 arriva il presidente della Regione Basilicata Bubbico (DS). Viene
accolto tra gli applausi. Rilascia le prime dichiarazioni alla stampa augurandosi
una ripresa della trattativa e la ricomposizione dell'unità sindacale.
Parole che non suonano male alle orecchie degli operai. Nel frattempo arriva
la notizia di cariche al varco della Fenice. Gli operai chiedono al Presidente
di recarsi dall'altra parte per fermare la polizia. Bubbico continua a parlare.
In poco tempo viene sommerso da fischi. E' costretto a lasciare i cancelli di
Melfi tra gli insulti. Si reca in un luogo sicuro: la vicina caserma dei carabinieri.
Nel frattempo continuano a giungere le notizie delle dichiarazioni politiche.
L'opposizione condanna le carica della polizia. "Quanto avvenuto oggi a
Melfi è una cosa molto grave", dice il leader di Rifondazione comunista
Fausto Bertinotti, che si è recato in mattinata nell'area occupata. "Ciò
che è successo - aggiunge Bertinotti - era stato provocatoriamente annunciato
dal sottosegretario al Lavoro Maurizio Sacconi, che in questi giorni si è
distinto per la sua attività antisindacale". Sacconi risponde: "La
rimozione del blocco illegale in atto da ben sette giorni è a questo
punto non solo giusta ma necessaria per salvare il gruppo Fiat dal collasso
produttivo e quindi finanziario". E ancora: "Insisto a ritenere che
la modernità del paese passa per la sconfitta politica di questo tipo
di sindacato". Tutto il governo si schiera a favore delle cariche. Fioccano
proclami di solidarietà alle forze dell'ordine.
Dello sparuto gruppo di capetti fatto entrare con la forza in fabbrica non si
ha più notizia. Nessuno li ha visti uscire. In serata, gli autobus con
i quali erano entrati ripartono vuoti dallo stabilimento, scortati da mezzi
della polizia, fra cui un cellulare. C'è chi dice che al suo interno,
ben nascosti, siano stati trasportati i capetti Fiat.
In queste ore arriva un'altra notizia: le cariche della polizia sugli operai
hanno spinto il titolo della Fiat in su alla Borsa di Milano. Agli operai sembra
di assistere ad un film. Ogni minuto che passa le immagini si schiariscono.
La trama del film diventa sempre più chiara. E gli attori sempre più
riconoscibili. Ma i protagonisti principali vanno avanti. Al cambio turno si
temono nuovi scontri. Gli operai si danno il cambio. Quelli del blocco mattutino
vanno a casa. Alcuni acciaccati e stanchi. Quelli del turno serale prendono
il loro posto. Ma questa volta più numerosi. In poche ore la presenza
davanti ai presidi cresce: più di 2.000 operai presidiano i cancelli.
La Fiat ha perso. L'intimidazione ha accresciuto la lotta. Centinaia di comunicati
di solidarietà arrivano da tutte le fabbriche in Italia. Carovane di
autobus arrivano vuoti lungo il vialone che porta alla fabbrica. Nessun operaio
si è recato al lavoro. Lo polizia si allontana. E durante la notte cala
una mezzaluna nitida e splendente ad illuminare l'ottava notte degli operai
di Melfi.
Martedì 27Gli operai continuano a presidiare. Al mattino i picchetti sono numerosissimi. La prova di forza non è riuscita e la polizia è ora abbastanza defilata. Gli autobus continuano ad arrivare vuoti anche al turno delle 14,00. Nel frattempo giunge la notizia che la Fiat ha convocato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. La Fiat inizia a mollare la presa. Alla fine dell’incontro tenutosi a Roma, i dirigenti Fiat annunciano la svolta. Si tratta dell’apertura di un tavolo negoziale con la Fiom, Fim e Uilm, ben prima della scadenza del 4 maggio, prevista nell’accordo truffa con Fim, Uilm e Fismic. Nella realtà si tratta del riconoscimento che l’unico soggetto trattante è la Fiom e il coordinamento di lotta. L’incontro è atteso per il giorno successivo. Le manovre per fermare la lotta degli operai non sono però finite. Prima dell’incontro con la Fiat, i tre segretari si erano riuniti, dichiarandosi favorevoli alla fine dei blocchi, in cambio dell’apertura di una “trattativa seria”. Le pressioni sugli operai per far togliere i blocchi diventa fortissima. Si riunisce il cooordinamento di lotta degli RSU, che emette un comunicato, dichiarandosi disponibile a ricorrere a nuove forme di lotta, ma solo quando saranno ''valutati nel merito i contenuti'' della trattativa e ''in presenza di un avvio positivo''. In pratica, gli operai non ci stanno a smobilitare i blocchi, lo faranno solo quando l’azienda, nel corso di una trattativa seria avrà scoperto le carte, chiarendo se ci sono i termini per raggiungere un accordo. Nello scontro in atto si inserisce anche, come elemento di ricatto e pressione, l’intervento del giudice di Melfi, che con una procedura del tutto eccezionale intima alla Fiom, accogliendo un procedimento d’urgenza chiesto dalla Fiat, l’immediata rimozione dei blocchi. Il commento degli operai è sprezzante. Lo stesso giudice non ha mai adottato una tale procedura nei confronti degli innumerevoli procedimenti di licenziamento della Fiat e, non di rado, li ha addirittura respinti!
Sabato 1° maggio. La giornata inizia male. Il
26 aprile tutti i delegati Fiom della Sata avevano lanciato lappello per
una manifestazione nazionale il 1° maggio a Melfi, a sostegno della lotta.
Tre giorni dopo però il fatto nuovo della fine dei blocchi rende la scadenza
piuttosto scomoda. Il corteo potrebbe essere un momento per riaffermare la forza
operaia, per aumentarne la mobilitazione, per saldare legami di collaborazione
con gli operai di altre fabbriche, in particolare della Fiat. Tutte cose da
evitare se si vuol sempre più ridurre lattuale lotta nei binari
delle normali relazioni sindacali, in cui padroni e sindacati collaborazionisti
dettano legge, mentre gli operai sono chiamati di tanto in tanto allo sciopero,
per essere usati come massa di manovra. Tuttaltra cosa è stata
finora la lotta di Melfi, con gli operai che spontaneamente si sono mossi, individuando
da subito le forme di lotta più adeguate agli attuali rapporti di forza
e costringendo le organizzazioni sindacali o a smascherarsi o a rincorrerli.
La stessa ostinatezza con cui, malgrado i tentativi di smobilitazione della
Fiom, gli operai continuano a presidiare le vie di accesso allo stabilimento,
dimostra come essi resistano ai tentativi di controllarli pienamente. Per la
Fiom diventa naturale, allora, boicottare la scadenza, da essa stessa lanciata.
Come farlo senza essere costretta ad imbarazzanti giustificazioni? Semplicemente
ignorandola, senza né disdirla né confermarla. Solo nella serata
di venerdì, ufficialmente, la Fiom fa sapere che ci sarà alle
19.30 del 1° maggio allinizio del vialone dello stabilimento un concerto
e, per garantirsi che gli operai non si presentino lo stesso al mattino per
il corteo, si fa sapere che forse lo si terrà nel pomeriggio. Il sabato
mattina così nessun delegato firmatario dellappello si fa vedere
al presidio e per tutta la mattinata sostano nel luogo del concentramento, senza
sapere che fare, i pochi operai Sata presenti e numerose delegazioni di operai
e lavoratori di altre parti dItalia che avevano aderito alliniziativa.
Le discussioni fra gli operai Sata sono accese. Lattuale stallo delle
trattative li spinge a riflettere sulla necessità di riprendere il blocco
delle merci, ma lassenza della maggioranza degli operai pesa su ogni ragionamento.
Infatti, gli operai, dopo giorni di presenza, hanno approfittato di un momento
in cui lo stabilimento è fermo e non si temono perciò ingressi
di crumiri, per riposare a casa.
Il corteo nel pomeriggio non si fa. La Fiom, invece, convoca a sorpresa il coordinamento
della RSU, che in questa fase di stanca della lotta ha perso buona parte della
sua relativa autonomia. I dirigenti Fiom comunicano che la trattativa riprenderà
martedì a Roma e che in quella occasione la Fiom organizzerà una
manifestazione dei soli operai Sata nella capitale. Lo stallo nella trattativa
crea non poche difficoltà alla Fiom, stretta fra gli operai che premono
per una ripresa delle forme di lotta più dure, come il blocco delle merci,
e la Fiat che, grazie a Fim e Uilm, manda per le lunghe le trattative per stancare
gli operai. Bisogna lanciare un segnale di risposta, che scongiuri la ripresa
dei blocchi. Da qui nasce la proposta della manifestazione. Molte però
sono le perplessità fra i delegati. Non fa piacere la sensazione di essere
costretti a rincorrere la Fiat, dopo essere stati ad un passo dalla completa
vittoria. Parecchi decidono di non partecipare al corteo per non sguarnire i
presidi. Altri si chiedono perché non coinvolgere tutti gli operai del
gruppo Fiat nella scadenza. Ferma però è la decisione di continuare
con lo sciopero ad oltranza.
In serata si svolge il concerto, senza che ci sia neanche unassemblea
fra gli operai sulla scadenza di martedì.
Il prossimo appuntamento è per domenica sera, al presidio del turno di
notte.
Domenica 2 e Lunedì 3 Maggio. Il turno delle
22,00 della domenica si riunisce in assemblea. Gli operai non vogliono rientrare
in fabbrica. Nel frattempo continua il presidio fuori i cancelli. La polizia
si schiera lungo la strada, creando un cordone fra gli operai che presidiano
e i crumiri che entrano. Malgrado ciò, anche questa volta, gli ingressi
in fabbrica sono limitatissimi, non più di una quarantina di persone,
in prevalenza capi ed impiegati. Al turno delle 6,00 si ripete la scena. Gli
operai si riuniscono in assemblea. E si decide ancora per lo sciopero. La polizia
forma un cordone per consentire il passaggio in fabbrica. Ma ad entrare sono
in pochissimi. Anche questo sciopero è riuscito. La Fiom organizza lannunciata
manifestazione nazionale a Roma per Martedì. Nel frattempo si insegue
la Fiat per la ripresa della trattativa sospesa su richiesta della Cisl, con
la scusa della fantomatica aggressione ad una delegata. In realtà le
questioni da dirimere sono molto delicate. La Fiat, dopo aver incassato la rimozione
dei blocchi, che le ha dato respiro, permettendole di riattivare in parte la
produzione in alcuni stabilimenti del gruppo (Pomigliano e Mirafiori), ha interesse
ad attendere ancora un poco, nella speranza che ceda il fronte dello sciopero.
Fim, Uilm e Fismic hanno bisogno di tempo perché chiudere la trattativa,
dopo un accordo separato diventato lettera morta, sarebbe per loro una sconfitta
troppo cocente. Hanno bisogno di inventarsi qualcosa che li rimetta almeno formalmente
in gioco. La Uilm riunisce i suoi delegati a Rionero e chiede una riunione unitaria
di tutta lRSU prima dellinizio della vertenza. Anche la Fim, per
bocca di Caprioli, auspica una riunione di tutta lRSU, come condizione
per riprendere la trattativa. Linteresse che queste organizzazioni apertamente
filo padronali hanno di riunire tutta lRSU è evidente. Sin dallinizio
della lotta, gli operai avevano messo da parte i delegati Fim, Fismic e Uilm
che avevano rinnegato, su indicazione dei loro dirigenti, il documento di lotta
sottoscritto in un primo momento. A dirigere la lotta è stata una minoranza
dellRSU, il coordinamento degli RSU della Fiom, dello Slai Cobas, di Alternativa
Sindacale, della Failms e dellUgl. Erano questi gli unici legittimati
a trattare per conto degli operai in lotta. Riunire lRSU al completo significa
far rientrare formalmente nella trattativa anche quei delegati che hanno boicottato
la lotta. Significa riaffermare il principio che a rappresentare gli operai
nelle trattative non devono essere i dirigenti delle lotte, ma gli appartenenti
alle organizzazioni formalmente riconosciute, a prescindere dal
loro peso e dal loro ruolo nella mobilitazione. E una questione centrale,
quella cioè della rappresentanza e delle forme organizzative degli operai.
Una questione che la lotta di Melfi ha posto in evidenza, ma che attualmente
non può risolvere. Operai e delegati combattivi, anche se a malincuore,
non respingono al mittente la richiesta. Contano sulla loro forza fra gli operai
e sul vincolo che ogni accordo per essere sottoscritto deve essere approvato
dalla maggioranza degli operai.
La Fiom è messa in difficoltà dal blocco della trattativa. Si
è assunta la responsabilità di convincere gli operai a togliere
i blocchi, sostenendo che questo passo avrebbe sbloccato le trattative ed invece,
dopo quattro giorni, tutto è ancora fermo.
Martedì 4 Maggio. Tutti a Roma. Sono 3.000
gli operai che arrivano nella capitale per il corteo indetto dalla Fiom. Al
corteo sono presenti anche delegazioni di operai di altre fabbriche Fiat. Rinaldini,
il segretario generale della Fiom, chiede lapertura della trattativa non-stop.
La Fiat continua a diramare dati sulle perdite produttive ma non accenna a nessun
incontro. La protesta continua ad avere un ampio consenso. Nonostante i dati
che la direzione aziendale si appresta a diramare sulla presunta presenza in
fabbrica di 500 dipendenti a Melfi si continua a proclamare lo sciopero ad oltranza.
E i lavoratori che varcano i cancelli sono pochissimi, anche se il loro numero
cresce (in particolare per il Turno A, quello meno combattivo), arrivando ad
un 120-130 unità, in maggioranza capi e capetti. Si paga lo scotto di
aver sguarnito i presidi, stancando gli operai con una faticosa processione
nella capitale. La Fim convoca per mercoledì una manifestazione a Melfi
a sostegno della vertenza. Non si capisce bene cosa questo significhi. In realtà
la Fiat si rifiuta di aprire il negoziato. Ma la posizione della Fim e della
Uilm è molto chiara: gli operai devono rientrare in fabbrica. La stessa
cosa che chiede la Fiat.
Il presidio della sera è numeroso e fra gli operai non cè
alcun segno di cedimento.
Mercoledì 5 Maggio. Lo sciopero continua. Di
turno in turno si continuano a fare assemblee e rilanciare la protesta. La Fim
svolge la sua manifestazione, concentrando solo poche centinaia di persone,
in stragrande maggioranza delegati di altre fabbriche nazionali e funzionari,
e chiede di trasformare lo sciopero ad oltranza in altre forme di lotta. In
tutti i modi si tenta di indebolire lo sciopero e costringere gli operai a rientrare.
Il coordinamento delle RSU in lotta dirama i suoi dati. Lazienda parla
di 600 dipendenti. Per i delegati si tratta di appena 130, in stragrande maggioranza
ancora capi e capetti, che la Fiat obbliga a lavorare sulle linee, per garantire
un minimo di produzione. Gli operai se la ridono, sapendo che i capi e gli impiegati
degli uffici, lontani dalle officine, sono per una volta almeno costretti a
lavorare.
Dalle altre fabbriche Fiat continua ad arrivare la solidarietà. Tutti
avvertono latteggiamento arrogante della Fiat che si rifiuta di trattare.
Il coordinamento delle Rsu avvia la raccolta di firme per far decadere la Rsu
composta in maggioranza da delegati di Fim-Uilm e Fismic.
Nel frattempo, la magistratura continua la sua opera di intimidazione: a molti
delegati ed operai sono state notificate le denunzie di alcune aziende del pianeta
Fiat per i danni subiti a causa del blocco ed il giudice si è affrettato
a convocare i denunciati per la stessa mattinata di mercoledì in tribunale
a Melfi. Uninutile mossa che non fiacca la determinazione di lotta degli
operai.
Nel pomeriggio, lannunciata riunione di tutta lRSU non si tiene
e, contestualmente, anche lincontro atteso a Roma tra le segreterie Fim,
Fiom, Uilm e Fismic con la Fiat salta. Nellassemblea del pomeriggio gli
operai si dichiarano stanchi di aspettare e decidono di radicalizzare le forme
di lotta, passando dai presidi ai blocchi duri. La Fiom non può opporsi
alla rabbia operaia, ma chiede di aspettare ancora, prima fino alle 18,00 e
poi fino alle 21,00. In serata si discute su come continuare la lotta. Gli operai
riorganizzano i blocchi. Ricompaiono i falò. Con sospetta tempestività
arriva la notizia di un incontro a Roma tra Fiat e sindacati. La Fiat avrebbe
dichiarato la disponibilità a trasferire il negoziato a Melfi. La tensione
si stempera anche se nella nottata i blocchi restano, per tornare ai presidi
in occasione del turno di mattina del giorno dopo.
Giovedì 6 maggio. Col turno di mattina entra
in fabbrica solo lo stesso numero di crumiri. Si tengono riunioni separate degli
RSU delle varie organizzazioni sindacali. Alle 14.00 è fissato l'inizio
della trattativa all'interno dello stabilimento fra RSU e azienda. La tanto
annunciata riunione di tutte le RSU per "validare" la piattaforma
(come se uno sciopero ad oltranza così compatto non l'avesse già
"validata"!), in realtà non si tiene. Richiederla è
servito solo per sdoganare come soggetti trattanti i delegati di Fim, Uilm e
Fismic, che sono stati contro la lotta. In compenso, Tonino Innocenti e Michele
Romano, due delegati rispettivamente della Fiom e dello Slai, licenziati dall'azienda
nel corso dell'ondata repressiva che aveva fatto seguito ai blocchi con gli
operai di Termini Imprese, vengono esclusi dalla trattativa. E così due
dei principali organizzatori della lotta vengono estromessi mentre vengono ammessi
come rappresentanti degli operai in sciopero proprio quelli che, per servilismo
con l'azienda, si sono schierati contro gli scioperanti! L'altra cosa negativa
che passa è che la trattativa per la Sata si farà separatamente
da quella per l'indotto e da quella per le aziende terziarizzate. Un altro modo
per dividere i lavoratori e indebolire il fronte di lotta.
La trattativa fra RSU e Fiat va subito per le lunghe. L'azienda è disposta
ad eliminare la doppia battuta, lasciando però immutati i 18 turni settimanali
(dalla domenica alle 22.00 fino al sabato successivo alle 22.00, per cui gli
impianti sono fermi solo dalle 22.00 del sabato alle 22.00 della domenica).
La Fiat propone uno scorrimento 3-2-1 con un turno diverso ogni sette giorni.
La prima settimana si farebbero 32 ore di lavoro, la seconda 40, la terza 48
(e dunque rispettivamente 3, 2 e 1 giorni di riposo). Disponibilità a
trattare anche sui provvedimenti disciplinari. Il punto più caldo, però,
resta quello dei salari: la Fiat è disponibile a trattare sul "premio
di competitività", ma solo escludendo alcune forme di assenza (ad
es. i congedi per maternità) dal calcolo dell'assenteismo, che è
un parametro che influenza negativamente l'entità del premio. Per quanto
riguarda le maggiorazioni per le ore notturne (che a Melfi sono del 40%, a fronte
del 60,5% degli altri stabilimenti Fiat) l'azienda è d'accordo per un
loro riallineamento, ma in tempi lunghi, ovvero iniziando nel 2005 per finire
nel 2007; solo dopo aver verificato, cioè, se nel 2006 si sia davvero
realizzato il pareggio di bilancio previsto nell'ultimo piano. Alle 21.00 la
trattativa viene sospesa, mentre una folla di operai (quasi 4.000) si concentra
nel presidio Barilla. Gli operai sono incazzatissimi. Giudicano le proposte
aziendali come una provocazione, molti vorrebbero inasprire le forme di lotta,
tornare ai blocchi. La Fiom, però, tiene banco nell'assemblea e assicura
che le proposte aziendali non saranno accettate. Se da un lato la pressione
della compatta massa operaia impedisce alla Fiom di svendere brutalmente la
lotta, dall'altro, dopo la rimozione dei blocchi, il controllo dei vertici della
Fiom sul movimento è sempre più asfissiante, mentre le frange
operaie organizzate nei sindacati alternativi svolgono un ruolo sempre più
marginale e subalterno.
Sabato 8 maggio. L'incontro del mattino fra RSU e
Fiat previsto nello stabilimento di Melfi viene disdetto. La Fiat ha chiesto
di incontrarsi alle 14.00 a Roma con le segreterie nazionali di Fim, Fiom, Uilm
e Fismic per proseguire la trattativa. La sede di Roma è certo più
tranquilla di quella di Melfi, dove le delegazioni trattanti avvertono il fiato
sul collo degli operai in lotta. I delegati dell'RSU vogliono però partecipare
alla trattativa e sono ammessi agli incontri di Roma.
La trattativa prosegue senza interruzioni dal pomeriggio per tutta la notte,
mentre gli operai a Melfi continuano con la stessa determinazione di sempre
a scioperare e a presidiare le vie di accesso allo stabilimento.
Domenica 9 maggio. In mattinata, alle 6.40 viene raggiunta
l'intesa. E' un compromesso che accoglie solo in parte la richiesta di equiparazione
salariale e normativa degli operai di Melfi agli altri operai Fiat, ma che sancisce
dei progressi significativi. Certo, per la forza che gli operai hanno messo
in campo, si sarebbe potuto ottenere molto di più, ma per farlo gli operai
avrebbero dovuto definitivamente risolvere il problema di chi deve rappresentarli.
Non che la lotta di Melfi non abbia affrontato, anche se in forma non risolutiva,
questa questione. Dapprima sono stati spazzati via i delegati e le formazioni
sindacali apertamente schierate con Agnelli; non tutta l'RSU, bensì solo
quei delegati schieratisi con gli operai erano ammessi a rappresentarli. Poi,
si è sottoposto ad una pressione costante i vertici della Fiom ed anche
quando questi sono riusciti ad imporre in assemblea la sospensione dei blocchi
si è nei fatti e compattamente rifiutata la strada della smobilitazione,
contrapponendo alla proposta Fiom di assemblee permanenti all'interno dello
stabilimento, quella vincente dei presidi all'esterno e dello sciopero ad oltranza.
La stessa minaccia costante di tornare ai blocchi, radicalizzando le forme di
lotta, ha condizionato nella trattativa i vertici Fiom. Più in generale,
la massiccia adesione della stragrande maggioranza degli operai allo sciopero
ad oltranza ha inibito ogni pur minimo accenno di svendita della lotta.
L'accordo prevede:
L'eliminazione a partire dal luglio 2004 della doppia battuta con un meccanismo
di turnazione di 6 giorni una settimana e 4 giorni la settimana successiva,
senza mai ripetere lo stesso turno.
Il passaggio dall'orario giornaliero di 7 ore e 15 minuti a quello di 7 ore
e 30 minuti, fermo restando la mezz'ora di mensa a fine turno, recuperando così
i circa 7 PAR che venivano finora distribuiti sui turni.
La parificazione delle maggiorazioni per lavoro notturno con gli altri operai
Fiat che passerà dagli attuali 45% al 60,5% nel luglio 2006,con i seguenti
scaglioni: a luglio 2004 il 52,5%, a luglio 2005 il 56,5% a luglio 2006 il 60,5%.
Anche le maggiorazioni per il lavoro notturno dalle 18.00 alle 22.00 passano
dall'attuale 25% al 27,5% vigente negli altri stabilimenti Fiat, secondo i seguenti
scaglioni: a luglio 2004 il 26,5%; a luglio 2005 il 27,5%.
Un incremento del Premio Variabile di Competitività, dovuto all'esclusione
dal calcolo del tasso di assenteismo di alcune tipologie di assenze (congedi
parentali, permessi RSU, ecc.) e il versamento di una trance fissa di questo
premio (240 euro) ogni mese di luglio.
Alle 11.00, di fronte al presidio della Barilla si svolge un'assemblea con
i sindacalisti di ritorno da Roma. Sono quasi tutti della Fiom. E' anche presente
un nutrito gruppo di operai e delegati aderenti alla Failms. La discussione
sull'accordo è accanita. Le critiche della Failms sono aspre, ma, in
generale, l'orientamento degli altri operai è di accettare, anche se
in maniera critica, l'accordo. L'indicazione della Fiom è di riprendere
la produzione col turno delle 22.00. La Failms non è d'accordo e chiede
che prima di rientrare in fabbrica si svolgano le assemblee. E' l'estremo tentativo
di tenere in piedi ancora la mobilitazione, per non precludersi la possibilità
di riprendere da subito la lotta. Viene proclamato dalla Failms uno sciopero
del turno di notte, cui aderirà in seguito anche Alternativa Sindacale.
Alle 22.00 lo sciopero ha scarse adesioni.
Lunedì 10 maggio. Su tutti e tre i turni si svolgono le assemblee. I sindacalisti di Fim, Uilm e Fismic vengono zittiti e cacciati. La Fiom riceve il consenso degli operai sull'accordo, anche se non mancano critiche al suo contenuto non soddisfacente. Gli operai sono consapevoli di aver comunque vinto, di aver piegato la Fiat. Per molti di loro, dopo dieci anni di sofferenze, è una vera e propria vendetta. Alternativa Sindacale continua a tentare di boicottare l'accordo e dà indicazione di votare NO al prossimo referendum che si svolgerà tra giovedì e sabato. Ad Alternativa sindacale si uniscono la Failms e lo Slai Cobas.
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